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(1529-1532) Card. Pompeo Colonna "l'Armigero"

Il Colonna non era adatto tanto a condurre la vita ecclesiastica, quanto meno per essere nominato Pastore di anime.

Se accettò di farsi chierico, fu per le pressioni esercitate su di lui dallo zio Prospero Colonna, nome famoso.

li Prospero aveva educato il nipote Pompeo (futuro Cardinale) al mestiere delle armi. Era nato in Roma il Pompeo, da Girolamo (fratello di Prospero) ed appena imparò l'uso della spada, si batté valorosamente contro gli Orsini ed i Gaetani.

Passò, poi, il Pompeo al servizio di Federigo, re di Napoli, ricolmato di tanti favori.

Sia il carattere del Pompeo, sia l'aspetto esteriore, attraente, alto ed ardente, lo aiutava ad esercitare degnamente la professione delle armi.

Se accettò, pressato, come si è detto, dallo zio paterno, di far parte della classe sacerdotale, lo fece per convenienza, sapendo che, se si decideva, era accetto pure a Papa Giulio II.

Quindi il Pompeo Colonna era frutto dell'epoca, quando alcune famiglie, arbitrariamente destreggiandosi, dominavano nello Stato pontificio. Il Colonna, perciò, non era neanche consacrato, come oggi la chiesa stabilisce, fece parte di quel clero minore, rimanendo laico e, nel tempo stesso, usufruendo dei benefici.

Ad ogni Cardinale, difatti, venivano assegnati dei vitalizi, che potevano o no avere la cura di anime annesse.

Con l'elezione di Leone X, il Colonna, già Cardinale, divenne amministratore della Diocesi di Aversa: era l'anno 1529.

Tra le altre sedi vescovili precedentemente da lui amministrate vi fu quella di Potenza, quella di Aquila (sedi certo scabrose geograficamente) ed altre ancora.

La migliore per il Cardinale fu la sede di Aversa e, nonostante fosse solo amministratore, volle fare il suo ingresso, e con solennità, in Aversa il 28 aprile 1529 (fu un avvenimento fuori dell'ordinario).

Il periodo nel quale fu amministratore di Aversa, il Colonna passò senza eventi eccezionali, ma di normali e solo amministrativi.

Lasciando la Diocesi fu così accorto che riuscì a consegnarla nelle mani di un suo nipote di nome Fabio (triste periodo del nepotismo, che mieteva ove non aveva seminato).

Ad onor del vero, lasciò alla Mensa vescovile (rendita che una volta disponeva il Vescovo per le sue spese personali) vari beni e fu riconosciuto uomo dabbene ed amante delle lettere.

Morì diversi anni dopo a Chiaia in Napoli, dopo aver mangiato fichi ghiacciati e, per qualcuno, avvelenato, secondo la cronaca nera; dopo tanto battagliar, col Manzoni si direbbe, il suo corpo freddo giacque.

Sepolto a Monteoliveto fu trasferito in seguito nella cappella dei principi di Sulmona.


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